Il 21 novembre la Commissione Europea farà capire il suo “livello di gradimento” della Legge di Bilancio che il nostro Governo ha preparato: un giudizio che seguirà di 4 giorni quello di Moody’s. Già il 17 novembre, quindi, è probabile che in qualche modo conosceremo il nostro destino: i criteri valutativi, per quanto si tratti di 2 entità ben distinte, di fatto sono gli stessi, prendendo ad esame fattori imprescindibili come il contenimento del debito pubblico, la crescita, l’andamento occupazionale, la capacità di attuare le riforme, etc.
Una Finanziaria che, al di là dei giudizi politici, non fa altro che confermare come “la coperta sia corta”.
Ben sappiamo come alla base di tutto ci sia un problema enorme, che nessun Governo è riuscito mai a risolvere, e che prende il nome di evasione fiscale. Non che altri Paesi non lo subiscano, ma da noi assume dimensioni gigantesche, tali da mettere in dubbio non solo l’efficacia dell’apparato pubblico, ma l’effettiva volontà di debellare un male alla base di molti delle nostre difficoltà e della nostra credibilità internazionale. Banalmente, non sono pochi quelli ci dicono: com’è possibile che il vostro debito pubblico sia in continua crescita (ormai siamo ad un passo da € 3.000 MD), mentre dall’altra parte, famiglie ed imprese siano “sedute” su una ricchezza finanziaria pari ad otre € 5.300 MD (di cui quasi 2.000 sui conti correnti). Numeri che mettono in evidenza l’altro grande paradosso del nostro Paese: una ricchezza enorme in mano ad un numero sempre minore di individui, visto che ormai il numero dei poveri e degli indigenti ha superato i 5 milioni di persone.
Illuminante un servizio pubblicato oggi sulle pagine dell’inserto “L’economia” del Corriere della Sera, e quindi, forse, della più autorevole testata giornalistica italiana. E su cui varrebbe la pena riflettere.
Si stima che ogni anno “sfuggano” allo Stato qualcosa come € 192 MD legati all’economia sommersa o illegale: € 174 MD per la prima, 18 MD per la seconda. Per un totale di circa € 100 MD “sottratti” alla comunità. Soldi che non solo ci permetterebbero di affrontare in ben altro modo la “quotidianità”, fatta di un servizio sanitario efficiente, di sicurezza per i cittadini, di un percorso scolastico in grado di crescere culturalmente e formare i nostri giovani, di una rete di trasporti moderna, di un territorio capace di sopportare i rischi idro-geologici e non di essere messo continuamente in ginocchio ad ogni allerta meteo (vd il disastro di questi giorni in Toscana), di riforme strutturali senza le quali parlare di futuro è quasi impossibile, ma che ci consentirebbero di vedere un debito che diminuisce, innestando un percorso virtuoso che modificherebbe totalmente il volto del nostro Paese. Un processo che “cambierebbe” la faccia dell’Italia non solo agli occhi del mondo, ma, soprattutto, per gli stessi italiani. Oggi ognuno di noi (neonati, giovani, lavoratori, disoccupati, pensionati) si “sveglia” con un fardello di circa € 50.000 di debito (numeratore debito pubblico € 3.000 MD, denominatore 60 ML di cittadini), che ogni anno aumenta, mentre di contro diminuisce la popolazione. Nonostante questo, seppur a grande fatica, riusciamo a crescere (+ 0,7% la crescita acquisita per il 2023). Cresce, però, oltre al debito pubblico, anche il numero dei disoccupati, soprattutto tra i giovani. E non sempre perché il lavoro manchi, anzi, il contrario: spesso vengono richieste competenze che la maggior parte dei disoccupati non hanno, con un danno duplice: aziende che non riescono a soddisfare la domanda, conti erariali in deficit. A non crescere, invece, è il numero dei giovani: di questo passo si arriverà al 2050 con una popolazione più vicina ai 50 ML di abitanti che ai 60. Una popolazione sempre di diminuzione, sempre più vecchia e sempre più povera.
Anche se sono passati oltre 160 anni (162 per l’esattezza) da quando, nel 1861, è nata l’Italia, rimangono, quindi, sempre attuali le parole di Massimo D’Azeglio: “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”, anche se le sue parole vanno contestualizzate a quel preciso momento: un Paese fatto di lingue (dialetti), tradizioni, usi, economie, monete diversi (un po’ come l’Europa di oggi, fatto salva la moneta…). Vero che una “comunità” si percepisce nel momento del bisogno e delle difficoltà, ma anche “vederla” nella quotidianità e nelle cose che “non fanno piacere” (a chi fa piacere pagare le tasse, soprattutto quando si sa che molti non le pagano…) cambierebbe la prospettiva.
La settimana si apre con tutti gli indici asiatici in forte rialzo.
A guidare la volata, la Corea del Sud, con il Kospi di Seul che rimbalza del 4% dopo che le autorità monetarie hanno vietato le vendite allo scoperto fino a giugno 2024.
Non è da meno Tokyo, dove il Nikkei sale del 2,3%.
Piuttosto bene anche Shanghai (+ 0,90%) e, a Hong Kong, l’Hang Seng (+ 1,60%).
Futures leggermente sopra la pari a Wall Street, sulla parità in Europa.
Segnali di ripresa per il petrolio, con il WTI a $ 81,23 (+ 0,77%).
Forte calo per il gas naturale Usa, a $ 3,395 (- 3,58%).
Oro a $ 1.990, – 0,51%, probabilmente in considerazione dei segnali di trattative in corso in Medio oriente (e, pare, del “braccio teso” di Putin verso gli Usa per disinnescare la guerra in Ucraina).
Forte calo dello spread, sceso, in avvio di giornata, sotto i 180 bp (177), a cui si accompagna il calo dei rendimenti dei nostri governativi, con il BTP a 4,44%.
Bund a 2,65%.
Treasury sotto il 4,60% (4,58).
Buon apprezzamento per l’€, che si porta a 1,0743 verso il $.
Leggero calo per il bitcoin, che apre la settimana a $ 34.859 (- 0,51%).
Ps: parliamo, ancora una volta, di demografia. Che l’Italia sia un “Paese per vecchi” è, ormai, cosa nota a tutti. Nel 2003 le nascite erano 544.000. Nel 2012 erano appena poco sotto (534.000). Oggi (2022) siamo a 393.000. E la tendenza non da segnali di inversione. In 3 anni (2023 vs 2020) l’età media degli italiani è passata da 45,7 anni a 46,4 anni. Oggi ci sono 117,9 persone ogni 100 giovani; nel 2002 erano 70,1 contro 100. Meglio fermarsi qua…però una nota positiva c’è: è stato calcolato che la vecchiaia oggi inizia a 75 anni (almeno per la società di gerontologia e geriatria) e non a 65 anni come definito dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). E, così parrebbe, un 75enne oggi ha la forza fisica di un 55enne nel 1980…